Il Fotografatore PoP in viaggio: dalla provincia ai grandi scenari internazionali

16.01.2016 06:32

Se sei un fotografatore POP consapevole e con un minimo di vissuto alle spalle, sai già che qualche problema con la Fotografia lo devi avere per forza.
Se, oltre a questo, hai alle (o sulle, dipende dal pdr) spalle una famiglia numerosa la faccenda si complica ulteriormente.
Ma le complicazioni sono sempre più grosse di come uno se le aspetterebbe...
I bambini e le mogli, si sa, amano andare in gita.
Il marito appartiene invece a una specie diversa: il suo habitat naturale è il divano; su di esso egli costruisce il proprio nido; l'invenzione del telecomando, che ve lo dico a fare, è stata la svolta decisiva nella sua evoluzione; la sua dieta si basa su patatine e birra.
La gita domenicale, tuttavia, gli offre il pretesto di riesumare la reflex.
Certo deve prima cercarla: "amoreeee hai spostato tu la mia macchina fotograficaaaa?"
Lei lo manderebbe volentieri al bagno, ma si trattiene pur non nascondendo del tutto una vaga intonazione gelida: "amore, lo sai che io non tocco mai quella roba se non per spostarla che almeno devo spolverare una volta all'anno il MIO comodino... "
Pignola
"E comunque è lì dove l'hai lasciata l'ultima voltaaaa!"
Diamine! Il cassetto delle mutande, giusto!
Niente domande, per favore.
Ma ricordatevi di questo particolare: nonostante l'aria umile e dimessa, la Donna sta sempre un passo avanti. Probabilmente perché la vita sul divano ha sterminato i gangli maschili.
Una volta recuperata la reflex, rovistato (questa volta tra i calzini) alla ricerca di una batteria mezza carica e di una CF con foto vecchie di due anni (massì che le cancello) comincia la prima grande, epica sfida del fotografatore POP: la scelta del corredo da portarsi via.
Non è una scelta banale: il futuro della Fotografia dipende da questa gita e dalle foto che riuscirò a fare. Il dove non ha alcuna importanza: montagna, collina, città. L'importante è scattare.
Normalmente vado in giro con un grandangolo e con un intermedio.
Ho comprato uno monospalla sufficientemente piccolo ma ragionevolmente grande per contenere questa dotazione da assalto leggero standard.
C'ha pure i moschettoni per attaccarselo alle braghe: dovessero scipparmi rimarrei in mutande.
Il ruolo di questo zaino, unito allo straordinario aggeggio che permette di attaccare la reflex alla cintura, è importantissimo. Bambini da inseguire, caldo , la pipì, quando ci fermiamo che ho male un piede, guida turistica, quando siamo arrivati, zaino con i viveri per la giornata, pure il piccolo (che piccolo non sarebbe poi così tanto) in groppa che "poverino è tanto stanco".
In un amen si zippa l'apertura e si cambia ottica.
E in più ha tante tasche: telefono, occhiali, portamonete, le calamite per ricordo...
Già, i viveri.
Secondo voi io dovrei preparare tutti i panini per 9 persone di cui almeno 6 fameliche? NON-SE-NE-PAR-LA.
Solo questa operazione unita alla salita e sistemazione in auto (la cintura è bloccata, dov'è il mio seggiolino, posso salire davanti, donna dov'è il mio navigatore, voglio stare vicino al finestrino, lui mi ha dato un pizzicotto...) ci porterebbe via due ore buone.
Si parte. Ognuno ha il suo zainetto col proprio cappello e la propria riserva d'acqua.
Quando si arriva sul posto si comprano formaggio, prosciutti e una bella forma di pane (o due) da un chilo.
Nel mio monospalla, dentro una taschina sul retro, ho un serramanico mimetico con cui affettiamo il pane al volo.
Il coltello sta lì perché così è sempre pronto all'uso, considerando che ho la fastidiosa tendenza a dimenticarmi le cose.
E i bambini stanno lontani da una lama che supera abbondantemente il palmo.
Si mangia, si beve, si fotografa.
I paesaggi, i palazzi, i figli, gli occhi di lei.
I sederi mi piacciono, ma quelli non li fotografo.
Vita dura ma gratificante. Ricordi, più che foto.


Passa il tempo.


Arriva un giorno per noi molto importante, siamo finalmente in partenza per un viaggio sognato da tanto in Israele.
Più che un viaggio, un pellegrinaggio, ma questa è un'altra storia.
I tg raccontano in toni preoccupanti che fioccano i razzi sull'aeroporto di Tel Aviv e io convinco parenti e conoscenti che sono normali razzi che atterrano per poi ridecollare.
Ci dicono che si può andare tranquilli, non c'è alcun problema per turisti e pellegrini.
Tuttavia quando un conoscente che c'è stato mi suggerisce di fare testamento " così tanto per stare tranquilli" mi sorgono alcuni dubbi.
Ma imperterriti andiamo avanti.
Si ripete l'eterno duello maschi contro femmine: lei si occupa di trovare le valigie, fare i passaporti, preparare i bagagli, sistemare i figli; io di tutto il resto.
Da mesi infatti sto pensando a cosa portarmi via (parlo di attrezzatura fotografica, se non si è capito) e a come portarlo via.
Inutile fare la cronistoria delle mie turbe notturne.
Fatte tutte le dovute considerazioni su qualità, trasportabilità, pesi, bagaglio a mano, meteo locale (partiamo in piena stagione delle piogge che -per la cronaca- si rivelerà essere la più piovosa dell'ultimo mezzo secolo) decido per tre ottiche tre.
In valigia metterò il mio mitico monospalla con dentro (per sfruttare lo spazio) il porta reflex da cintura e la biancheria (corsi e ricorsi).
Poi, una volta lì, reflex con ottica montata in vita e monospalla con due ottiche.
Sono un genio, mi dico.
La mattina della partenza mi presento all'aeroporto addobbato come un albero di Natale: (leggere in tono fantozziano) megatrolley rinforzato con serratura special antiscasso (servirà a nulla perché gli israeliani pretendono le valigie aperte, ma fa impressione), zaino lowepro impermeabile in spalla con dentro due obiettivi, caricabatterie, batterie, schede, ed effetti personali atti a garantire la sopravvivenza personale per almeno 24 ore (robe che neanche la razione kappa) perché ci hanno convinto che due bagagli su tre vanno perduti per sempre tra gli ingranaggi dei nastri trasportatori; reflex in apposita custodia anti-acqua appesa al collo; chitarra in custodia rigida extra-rinforzata nella mano sinistra, biglietto e passaporto nella mano destra.
La signorina al check-in mi guarda inspiegabilmente stupita.
Ma con abile mossa la prevengo facendole gli occhi dolci, un sacco di complimenti sulla sua professionalità e autoaccusandomi di essere un emerito cialtr0ne.
Altrettanto inspiegabilmente si lasciano incantare e mi fanno salire con questo "bagaglio a mano" a patto che me lo tenga addosso (il come e il dove non gli interessa, saranno fatti miei) per l'intero volo.
Il fotografatore POP si piega ma non si spezza.
Il più delle volte.
Così si vola in Israele.
La Galilea, il mare di Tiberiade, gli arabi, Gerusalemme, gli ebrei col cappellone, i colori del suk, gli odori di spezie, gli armeni, il lusso e la miseria gomito a gomito, le vecchie con i bagagli sulla testa, il caffè arabo, i beduini nel deserto, le macellerie a cielo aperto, i venditori di paccottiglia, i monaci ortodossi, le tensioni, i soldati e le soldatesse col mitra.
Sono ovunque. Avranno vent'anni al massimo.
Già, i militari...
Giovani sono giovani, ma non bisogna farsi imbrogliare. I tempi sono cupi e loro sono pronti, reattivi.
Cattivi, se serve.
Ce lo hanno detto molte volte le guide, e ce lo ripetono ora che stiamo per arrivare ai piedi del cosiddetto muro del pianto.
E' venerdì sera, comincia lo shabbat.
Uno spettacolo incredibile.
I percorsi per arrivarci sono obbligati, conducono immancabilmente a un posto di blocco. Ci sono i soldati, la polizia e i metaldetector.
Siamo lì in coda verso questa macchina infernale che bippa solo se pensi a un oggetto metallico.
Sto pensando se sia meglio montare il 14 o cercare qualche effetto wow col 35 (capirai, siamo in piena ora blu!).
Decido per il 35.
Ci dicono di preparare gli effetti personali di metallo in tasca in modo da metterli subito nell'apposito vassoietto per guadagnare tempo.
Mi metto a ravanere nel monospalla e le mie mani si stringono sul coltello a serramanico...
E' lì dall'ultima gita.
Guardo mia moglie, balbetto una scusa. I panini, il prosciutto, le gite...
Mi insulta.
Mi paventa punizioni corporali da parte del grosso caporale che sta perquisendo lo sventurato prima di me.
Ma soprattutto mi insulta.
Perché mi dimentico dove metto le cose. Sarebbe bastato chiederglielo prima di partire.
"E cosa ti chiedevo? Come facevo a sapere di averlo dimenticato chissà dove se non mi serviva?"
Logica elementare, ma barcollante.
Non voglio perdere il coltello. Legami affettivi.
Dietro di noi qualcuno alza la voce. Un arabo in coda, credo, che ha da ridire contro i sodati.
L'energumeno graduato si distrae, lascia il suo posto. Anche gli altri due.
E' un attimo .
Con mossa astuta e repentina poggio nel vassoio la roba e il monospalla, zompo attraverso lo sgabbiotto maledetto e ripiglio lo zainetto.
Mia moglie è sbigottita.
Io faccia innocente. Aria indifferente.
Quello ritorna subito. Mi guarda e pare un pelo confuso.
Nel mio inglese fluente gli chiedo "Tutto a posto gentile tutore dell'ordine? posso riprendere le mie carabattole?".
Quello mi guarda, sorride e guardando i colleghi esclama ad alta voce "avercene di turisti così educati!"
Mia moglie deposita la sua roba, passa e il beep maledetto lacera l'aria.
Mi guarda con odio mentre la sghignazzo pubblicamente.
Come risarcimento e un po' come scusa, poco dopo le farò una memorabile foto di nascosto


Alcuni mesi dopo siamo in Piazza San Pietro.
Due ore di coda per entrare in Basilica.
Ci sono i metal detector, i poliziotti e le guardie svizzere. Tempi difficili, lo sapete.
Ho con me la solita 5d, il 14 e il 50. Nel monospalla.
Quando siamo finalmente in prossimità del blocco lei fa la battuta "sarebbe piuttosto tragico se avessi ancora con te quel maledetto coltello. Ti ricordi vero di Gerusalemme?"
Sbianco.
Lei capisce e riattacca.
Secondo voi come sarà finita con l'italica forza dell'ordine dopo che il fotografatore POP aveva sbaragliato persino il Mossad?