Breve trattato sulla fotografia di reportage matrimoniale
23.02.2017 20:31Questo articolo è rivolto agli appassionati di fotografia e non nascondo che potrebbe risultare lungo e assai noiso.
E non vuole essere nè esaustivo nè insegnare qualcosa a qualcuno.
E’ solo la massima sintesi possibile di un pensiero da fotografatore PoP.
Ebbene si, questo sono io. Fatevi coraggio, come me lo sono sempre fatto io.
Questa fotografia ha fatto fieramente mostra di sè in casa dei miei almeno fino al mio matrimonio. Non mi ha mai fatto piacere passare per il figlio sfortunato del capitano Kirk, ma negli '70 girava così. Ma la cosa interessante è un'altra.
E ve la dico dopo.
Non è affatto raro leggere nei siti di fotografi di cerimonia frasi tipo "prediligo il genere reportage", "voglio raccontare la vostra storia", "intendo cogliere le vostre emozioni", "fermare per sempre i momenti più belli" e soprattutto "presenza invisibile, discreto, senza stress per gli sposi".
Si corre il rischio, per nulla eufemistico, di ritrovarsi con una coppia di giovani ragazzi che guarda la macchina fotografica come guarderebbe il trapano del dentista.
Vorrei ribadire che non voglio dare lezioni a nessuno, ma che io sappia il vero fotoreportage è una cosa un po' diversa e più complessa; addirittura vera materia di studio. Tuttavia non è proprio di questo che intendo parlare.
Siamo davvero sicuri che la fotografia di reportage matrimoniale consista solo nel mimetizzarsi fra gli invitati e fotografare quello che si vede?
Il fotografo, è forse esso (italiano arcaico, ndr) un testimone oculare o qualcos’altro?
Davvero vogliamo ridurre la fotografia al congelamento di un istante così come lo vediamo? E per di più vantandoci di riprendere la realtà così com’è?
Nel rinascimento, ogni sovrano che si rispettasse, aveva il suo ritrattista di fiducia. Non doveva essere necessariamente di gran fama. Doveva, però, rappresentare la figura del re così come il re stesso voleva apparire. Non contava tanto il fatto che fosse più o meno attraente, ma i suoi ritratti dovevano trasmettere a chi li guardava alcuni concetti molto chiari: autorevolezza, forza, coraggio. Talvolta, addirittura, paura.
E come avveniva il ritratto? Forse che il povero pittore doveva correre dietro al suo sovrano impegnato nei suoi affari di stato? Certo che no! Il re si faceva bello, si curava la barba, si pettinava, indossava l’abito o l’uniforme o la corazza giusta. E poi, semplicemente, posava!
E così i papi, e i sovrani e le regine fin dalla notte dei tempi.
Troppo in là con gli anni dite? Personaggi troppo illustri per paragonarli a noi? Può darsi, quindi balziamo nel Bel Paese nel periodo tra le due Guerre.
All’età di diciotto anni, la mia nonna paterna si dovette far fare una fotografia per il suo documento di identità. Si preparò con cura, mise il (solo) vestito buono, si fece pettinare dalla vicina e dai campi, invece che a piedi, venne sul carretto del babbo per non impolverare le scarpe (che nella foto manco si sarebbero viste, ma lei non lo sapeva). Quella fotografia, a distanza di circa settant’anni, esiste ancora. E mostra non la figlia di un povero contadino, ma una bella ragazza da marito sorridente e nel fiore degli anni. Mai diresti, vedendola, che in inverno mangiasse le radici dei cavoli. E' forse essa (italiano arcaico, ancora ndr) una fotografia falsa perchè non ritrae la reale condizione della nonna?
Ancora non capite?
Va bene, torniamo al piccolo capitano Kirk della foto sopra.
Per celebrare i miei primi tre anni, papà e mamma chiamarono in casa il fotografo (!), mi misero il vestito migliore che avevo (ve l’ho detto, erano i ’70, basta sghignazzare!), mi pettinarono, mi misero in mano il mio giocattolo preferito e mi piazzarono nel miglior angolo della casa. Addirittura specchio con riflesso di profilo per un effetto ancor più stupefacente!
“Sorridiiii, guarda la mammaaaaa!...” e parte il lampo del flash (maledetto).
Foto ufficiale, l'unico vero Nonnograppa infante; distribuita ai nonni; esibita nel salotto buono. Un bambino di tre anni lindo,pulito e profumato che neanche un Lord. Ma è realtà o finzione?
E’ da molto che sostengo la forse discutibile tesi che il giorno delle nozze assomigli moltissimo a una pièce teatrale.
Prima di scandalizzarvi, riflettete bene.
Gli sposi sono i protagonisti assoluti: devono indossare un “costume di scena”, passare dal trucco e dal parrucchiere, imparare e “recitare un copione” già scritto. Sanno che nel corso del giorno più bello della loro vita dovranno sottostare a certi riti (il lancio del riso, i baci, i brindisi, gli scherzi, la torta, i lanci…). Avranno a che fare con “personaggi” co-protagonisti come i testimoni, il parroco, i genitori; poi saranno assistiti da altri “personaggi minori” come l’autista, l’organista, il fioraio, lo chef, i camerieri…
E tutto intorno il pubblico, che partecipa, vive, respira, palpita, ride, si commmuove, parteggia, sbraca.
Ciascuno degli interpreti ha un suo copione da rispettare; ognuno si prepara al meglio e sa quello che deve fare.
Il fioraio non si sognerebbe mai e poi mai di fare un bouquet di un colore diverso da quello concordato, così come lo chef non si permetterebbe di fare le tagliatelle panna e prosciutto al posto del risotto ai porcini.
In una giornata in cui quasi tutto (figuriamoci se ci sta pure il wedding planner!) viene studiato a tavolino e stabilito come se ci si muovesse sul palcoscenico di un teatro o su un set cinematografico, il fotografo – che ha l’incarico di immortalare il tutto a beneficio delle generazioni future – dovrebbe essere l’unico a muoversi qua e là senza minimamente interferire con quello che gli succede attorno? Accontentarsi di quello che viene perchè deve fotografare la "realtà"? Una realtà che viene pianificata e modellata il meglio che sia possibile? Tutti danno il meglio di se stessi e tu, fotografo, devi stare nascosto per non dar del fastidio? O peggio ancora per paura di alterare quella realtà architettata?
Io non credo.
Il fotografo che voglia davvero “raccontare una storia” deve avere l’occhio, la voglia e il preciso proposito di sfruttare secondo il suo estro questo straordinario set che è stato approntato davanti ai suoi occhi.
Oserei dire, addirittura, il dovere (ho anche il vago sospetto che con questo potrebbe avere più clienti).
Non approfittare di questa magnifica (sempre) coppia di attori e della scenografia per dare la propria impronta al matrimonio è uno spreco, un insulto alla miseria.
E suvvia, non sto dicendo di stare tutto il giorno a fare “cheese”, solo lo stretto necessario.
Allora capite da voi che mettersi in posa davanti al fotografo, non è come offrire il molare al dentista.
E’ consentire a un autore di dare al vostro racconto delle pennellate che lo renderanno più ricco e coinvolgente.
La posa è un eccellente espediente per valorizzare l’opera di chi ha lavorato per il vostro matrimonio e il denaro che avete speso.
Non abbiate mai paura di chiedere al vostro fotografo delle foto posate, e non abbiate mai paura di posare per lui.
Una posa è per sempre.
Semmai, addirittura, diffidate di chi non ve le vuole fare per rispetto della vostra quiete.
Forse non vi vuole così bene come sembra.
E un giorno, potrete mostrare orgogliosamente ai vostri figli le vostre foto in posa: bellissimi nel più bel giorno della vostra vita. E sarete sempre voi, belli come forse mai più sarete (specialmente i mariti) ma pur sempre voi. Veramente voi!
E tranquilli, anche perché voi non indosserete una tutina aderente e non avrete in mano una pistola spaziale!